Le origini
L’arco è un’arma antichissima (già usata dai cacciatori in età paleolitica) e diffusissima in tutte le sue varie forme; differenti fonti citano Egiziani, Babilonesi, Icsos, Ittiti, Siriaci, Ebrei, Assiri come valentissimi arcieri (addirittura la fanteria dell’esercito assiro si divideva in archi e in portatori di scudo e lancia).
A differenza di quanto si possa pensare, l’arco era considerata un’arma di grande onore presso le popolazioni preelleniche dell’Egeo, oltre che per gli Egiziani e gli Orientali; inoltre, anche la tradizione arciera di Creta risale ai tempi minoici.
Alcuni episodi e figure di importanti eroi, greci e troiani, che combattono come arcieri nell’epopea omerica, mostrano l’alta considerazione in cui l’arco era tenuto nei tempi ai quali risalgono gli elementi più antichi della leggenda epica.
Con la venuta dei Dori (XI sec. A.C.), popolo di lancieri, l’arco decadde come arma da guerra; questi, infatti, lo disprezzavano e tale sdegno si rifletté nell’Iliade omerica: l’arco, infatti, iniziò ad essere visto come arma dei poveri, del popolo, e del vile in quanto attaccava da lontano, senza uno scontro corpo a corpo.
Rimase, quindi, in uso come arma da caccia e come arma da guerra solo in alcune regioni, come l’Attica, mentre tornò successivamente in auge presso le città greche del Ponto, costrette a lottare contro gli arcieri sciti e traci, e presso le colonie occidentali, che dovevano lottare con gli arcieri italici, etruschi e cartaginesi.
In Italia, la testimonianza dei monumenti mostra come l’arco sia stata una delle armi principali degli Umbri, dei Lucani, dei Sardi, e degli Etruschi; ma fino al tempo della seconda guerra punica (218 – 202 A.C.) la tradizione non conosce arcieri negli eserciti romani.
Fu, infatti, in seguito alle crociate (dall’ XI secolo D.C. in poi) che l’Occidente venne a conoscenza ed iniziò ad arruolare arcieri tra le file dei propri eserciti.
Gli eserciti crociati, addestrati al combattimento frontale della cavalleria e allo scontro comminus (corpo a corpo), dovettero scontrarsi con le armate turche, le quali facevano affidamento su arcieri a cavallo, che grazie ai loro archi inondavano continuamente di frecce il nemico, sia nell’attacco sia nella ritirata. Per contrastarli gli eserciti crociati costituirono reparti di cavalleria leggera, i cosiddetti turcopoles, armati di arco e frecce. Pertanto i milites, gli uomini liberi atti all’uso delle armi, ovvero i cavalieri, non furono i soli protagonisti delle battaglie: accanto ad essi masse di pedites (fanti a piedi) combattevano in funzione di appoggio. Tali truppe erano composte solo in minima parte da fanterie di “linea”, armate di lancia e scudo, atte a contrastare il nemico solo a diretto contatto, mentre la maggior parte erano arcieri e balestrieri, i quali potevano tenere sotto tiro la cavalleria nemica a lunga distanza grazie a salve di frecce che miravano ad indebolirla prima dello scontro frontale.
Il rapporto tra i milites e pedites era però conflittuale e affondava le sue radici, come già detto, nell’antichità classica.
Il fatto che un umile fante, con un semplice arco o balestra, potesse uccidere un nobile cavaliere che aveva dedicato la vita ad addestrarsi all’esercizio bellico, minava il prestigio dei cavalieri che inizialmente predominavano sui campi di battaglia; di conseguenza, contro l’utilizzo di queste armi da lancio venivano espressi pesanti pregiudizi, rafforzati anche dal clero, al fine di limitare la loro minaccia e favorire l’ordine militare della cavalleria che rappresentava appieno gli ideali cristiani dell’epoca.
Dall’altra parte del mare e degli schieramenti, invece, si assiste a un sostanziale capovolgimento del pregiudizio nei confronti degli arcieri: “se per i cristiani l’arte sagittaria era vile e deprecabile, per gli eserciti Mussulmani essa era sacra e consigliabile”. Tutti i popoli di osservanza mussulmana, infatti, tenevano in gran conto l’arte del tiro con l’arco e ne facevano largo uso nelle loro strategie di combattimento: la letteratura mussulmana è ricca di scritti e manuali che trattano dell’arco, dei metodi della sua costruzione, dell’uso e dell’addestramento, poiché l’arcieria era considerata un’incombenza religiosa prescritta dal Corano, che ricadeva sull’intera comunità. Esisteva infatti una raccolta di tradizioni sull’eccellenza e le qualità del tiro con l’arco e su come fosse necessario per tutti i credenti praticarlo.
Al momento dell’invenzione della balestra i musulmani continuarono prevalentemente ad utilizzare l’arco poiché non trovarono in essa un grande miglioramento e soprattutto perché la forma di quest’arma ricordava quella della Croce cristiana.
Nel Medioevo Europeo
Nell’Alto Medioevo l’arco fu usato in larga parte per la caccia; memori della tradizione ellenica, infatti, Franchi, Sassoni, Alemanni, Burgundi, Inglesi, Cheruschi, Marcomanni lo disdegnavano ritenendolo arma “puerile e perfida”.
Verso il sec. XI d.C., però, Normanni ed Anglo-Sassoni iniziarono ad apparire armati di arco durante le campagne e testimonianze narrano che ne fecero uso nella battaglia di Hastings (1066), che portò alla conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni. L’arco di questi ultimi era piccolo, di un metro circa; quello degli Anglo-Sassoni misurava quasi due metri e variava con la statura dell’uomo (altre informazioni sugli Archi sono inserite nell’apposita sezione).
Fu proprio grazie all’utilizzo dell’arco da parte delle milizie normanne che nel corso del Medioevo le popolazioni europee tornarono ad arruolare arcieri nei propri eserciti sino all’introduzione della armi da fuoco (fine XIV – inizio XV sec. D.C.).
Nel Medioevo Italiano
Le innumerevoli iconografie presenti sul suolo italiano testimoniano come il panorama arcieristico sia stato influenzato, ancor prima dell’età comunale e fino alla fine del rinascimento, dall’arco orientale.
E’ pertanto doveroso fare una menzione particolare per gli arcieri saraceni di Federico II di Svevia, il quale seppe impiegare con successo queste truppe, a lui fedelissime, in alcune battaglie (come quella di Cortenuova del 1237, dove la lega dei comuni lombardi venne sbaragliata dall’esercito dell’imperatore).
Gli arcieri saraceni erano arabi stanziati in Sicilia a seguito dell’espansionismo islamico, i quali, dopo essere stati sconfitti, furono deportati in Puglia a Lucera dall’imperatore, che aveva concesso loro di conservare in tale comune usanze e costumi propri. Tuttavia, contrariamente a quanto si verificò presso le popolazioni nomadi orientali (come turchi e mongoli), che seppero conquistare grandi imperi praticando il tiro con l’arco a cavallo, secondo la tattica di guerra tradizionale delle genti delle steppe, in Italia non prese mai piede un corpo di arcieri a cavallo (tranne in sporadici casi di mercenari stranieri provenienti dall’est Europa).
In Francia e in Italia nei sec. XI e XII d.C. gli arcieri costituirono speciali corpi comunali: si reclutavano nelle classi inferiori villani, operai, piccoli borghesi, i quali possedevano armamenti poco costosi, non ingombranti, né pesanti e si rinnovavano facilmente. Arcieri e balestrieri formarono il nucleo delle milizie comunali (come ricordato in alcuni documenti medievali riguardanti la battaglia di Legnano contro Federico Barbarossa, 22 maggio 1176).
Al Nord e nel Centro della penisola italiana, le compagnie di arcieri e balestrieri erano tenute in grande considerazione nelle azioni belliche. In varie zone, come a Pisa nel 1162 o ad Aosta nel 1206, troviamo testimonianze sulla costituzione di queste compagnie governate da un capitano che provvedeva all’addestramento dei membri presso terreni assegnati, al di fuori delle città, dove potevano esercitare la pratica del tiro al bersaglio. Essere arruolati in battaglia come arcieri non era una prerogativa riservata ai combattenti meno dotati; il ruolo dell’arciere non poteva essere rivestito da chiunque, infatti per raggiungere un discreto rendimento occorrevano una pratica ed un esercizio costanti, dal momento che in battaglia, per riuscire a penetrare con le armature del nemico, era necessario impiegare strumenti di elevata potenza.
Un arciere, pertanto, doveva sottoporsi a costanti allenamenti al fine di sviluppare e conservare sia la forza, che gli consentiva di piegare duri archi da guerra, che la destrezza e la precisione nel tiro, che gli permettevano di cogliere bersagli lontani ed in continuo movimento. Doveva possedere, inoltre, anche l’attitudine mentale indispensabile a conservare in una situazione di pericolo imminente, come una carica di cavalleria nemica, il sangue freddo necessario alla concentrazione che implicava l’esecuzione del tiro.
Oltre a difesa e guardia delle cinte murarie castellane e cittadine, le compagnie di arcieri e balestrieri erano impiegate per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza intra-moenia e nelle campagne militari costituivano uno dei corpi principali degli eserciti comunali. Erano truppe scelte, addestrate e ben retribuite, come testimoniato da fonti iconografiche e storiche, ai quali era imposto di equipaggiarsi per la guerra a proprie spese, come scritto nel Libro di Monteaperti (codice prezioso per le notizie che esso dà sulle costumanze militari): oltre ad archi e balestre, dovevano munirsi di gambeson o corpetti in cuoio, talvolta con maniche rinforzate in maglia di ferro, per la protezione del busto e delle braccia, cappello di acciaio o cervelliera, gorgiera o collaretto di ferro, armi complementari come falcioni o coltellacci, scuri e mazze.
“Nelle marce gli arcieri e balestrieri erano alla testa delle fanterie; dietro essi venivano le “some de’ palvesi” poi quelle delle balestre e de’ torni, infine il saettame e le tende del comune”.
Le compagnie di arcieri e balestrieri in battaglia potevano essere utilizzate per ingaggiare la mischia, ovvero aprire le ostilità tormentando il nemico con il lancio delle frecce, costituire uno sbarramento protettivo dietro il quale la cavalleria poteva rifiatare e riorganizzarsi, essere utilizzate per scompaginare uno schieramento avversario particolarmente solido, come un presidio di fanteria pesante, o essere impiegati nel corso di operazioni d’assedio sia in difesa che in attacco delle mura.
In Italia l’arco fu senza dubbio largamente diffuso per tutto il medioevo, ma non rivestì l’importanza di arma risolutiva come avvenne in Oriente o come avvenne, più tardi, nella Guerra dei Cent’anni; molto diffuso fu, invece, l’uso della balestra.
I motivi sono diversi: i principali sono la mancanza di un esercito nazionale, di una tradizione e di una promozione dell’uso dell’arma da parte dei governanti e, infine, la predominanza di guerre d’assedio (dove la balestra è molto più utilizzabile) rispetto a battaglie campali.
Spesso le due armi combattevano insieme e i reparti di tiratori erano composti sia da arcieri che da balestrieri; ma erano questi ultimi a prevalere numericamente.
L’utilizzo della balestra, a differenza dell’arco, comportava un minor addestramento, poiché il meccanismo di sgancio della balestra consentiva di separare lo sforzo per tenere in tensione la corda dell’arco dalla concentrazione necessaria per mettere in mira il bersaglio.
Tale caratteristica consentiva un impiego più facile della balestra rispetto all’arco e per tale motivo ne veniva fatto un più largo uso nei campi di battaglia, anche se la velocità della sequenza di tiri della balestra, a causa delle fasi di caricamento più complesse, era minore rispetto a quella dell’arco.
Fu con la Guerra dei Cent’anni che fu confermata l’inferiorità della balestra rispetto all’arco: pare che uno dei motivi della disfatta dei francesi nella battaglia di Crécy fu dettato dal fatto che sopravvenuta la pioggia, i balestrieri liguri (alleati dell’esercito francese) ebbero difficoltà a caricare le loro armi, mentre gli arcieri inglesi, i quali avevano modo di cambiare le corde dei loro archi (e quindi di utilizzare corde asciutte), poterono continuare l’attacco, generando un lancio continuo e massivo di frecce.
Dopo l’ennesima disfatta a Poitiers i Francesi istituirono sotto altra forma (cioè sotto forma più moderna) il corpo degli arcieri già esistente nel Medioevo; la loro abilità divenne presto così grande, che i nobili cavalieri ne presero sospetto e gelosia e riuscirono a farli escludere dall’esercito. Furono ricostituiti alla metà del ‘400, e quando Enrico III organizzò nel 1579 le Compagnie di ordinanza, prescrisse che nessuno potesse appartenere alla gendarmeria (che era corpo scelto) se non fosse stato arciere, o cavalleggiero, né che potesse essere arciere chi non fosse nobile.
In Italia l’istituzione degli arcieri e balestrieri si mantenne qua e là nei diversi eserciti dei piccoli stati, talvolta misti agli schioppettieri, durante quasi tutto il secolo XVI.
Tattica militare di tiro
Circa la tattica seguita dagli arcieri nelle battaglie, nei primi tempi essi venivano messi di solito in linea sul fronte dell’esercito per preparare l’azione. Era il loro tiro che doveva cominciare a mettere il disordine nelle file avversarie, permettendo così alla cavalleria di caricare con profitto. Dopo l’assalto dei pedites, essi si spargevano a raccogliere i prigionieri ed a finire i feriti sul campo di battaglia. Questa era la tattica seguita in Oriente, donde ci venne l’istituzione.
Più tardi, quando i cavalieri furono coperti d’armatura dal capo ai piedi e avevano un grande scudo al fianco, gli arcieri non tirarono più di lancio, giacché le frecce sarebbero state inefficaci, ma le lanciavano in alto, eseguendo un tiro a 45°, e queste, descrivendo una parabola, cadevano verticalmente con tutto il loro peso colpendo i cavalieri alle spalle, alle braccia, al viso e ferendo mortalmente i cavalli.
Gli arcieri inglesi della Guerra dei Cent’anni tiravano da ritti ed in ginocchio; tenevano le frecce in un turcasso; avevano la mano destra protetta da un guanto di cuoio e l’avambraccio sinistro da un bracciale di ferro per parare le vibrazioni della corda. Si riparavano dietro grandi palvesi di legno che piantavano in terra, o che fermavano a picche piantate in terra e che servivano poi per la difesa nel caso d’attacco vicino. Questa tattica si diffuse in Europa, e anche in Italia si trovano nel sec. XIV arcieri e balestrieri alternati coi palvesatori.
BIBLIOGRAFIA:
- “Arcieri e Balestrieri nella storia militare del Mezzogiorno medievale” di Giovanni Amatuccio tratto da “Rassegna storica salernitana”, Pietro Levaglia Editore
- “Ricostruzione di Arcieri e Balestrieri (sec. XIII)” di Ivano Nesta, articolo pubblicato sulla rivista ARCO, Giugno 2009
- “Enciclopedia italiana” on-line Treccani – voce “Arciere”
- “L’arco da guerra nel Medioevo” di Marco Dubini – Coordinatore Lombardia della Corporazione Arcieri Storici Medievali
- “La rievocazione nell’arcieria storica medioevale” – Corporazione Arcieri Storici Medievali